Estratto
Spesso nello studio delle conoscenze delle antiche civiltà ci si imbatte in un complesso e affascinante problema. Ci si rende infatti conto che è impossibile — oltre che insensato — cercare di districare ciò che noi intendiamo come “scienza”, dal pensiero religioso e simbolico da una parte, e dalle strutture e sovrastrutture che su esso fondavano il proprio potere, dall’altra [1]. Questo, tuttavia, non significa affatto che gli antichi affrontassero i problemi in modo meno serio del nostro. L’esempio più noto è senza dubbio quello dei Maya: le loro conoscenze astronomiche non avevano infatti nulla da invidiare a quelle dei Greci (per esempio, la loro stima della durata del ciclo delle fasi lunari era più accurata di quella di Tolomeo), ma lo studio dei fenomeni celesti era indissolubilmente legato alla religione e alla gestione del potere, tanto che spesso si afferma (sbagliando, ovviamente) che erano “astrolog i e non astronomi” [2]. Di fatto, è quindi necessario rinunciare ai nostri schemi mentali e tentare di immergersi nella mentalità di persone che avevano una visione della natura completamente diversa dalla nostra. Il caso in cui, forse, questa operazione è in assoluto la più difficile, ma anche, proprio per questo, affascinante, è quello degli Inca.
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Magli, G. (2008). I Quipu e la geometria dello spazio sacro presso gli Inca. In: Emmer, M. (eds) matematica e cultura 2008. Matematica e cultura. Springer, Milano. https://doi.org/10.1007/978-88-470-0794-9_2
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