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Practices and Theories of Contingency in Renaissance Approaches to Nature

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Contingency and Natural Order in Early Modern Science

Part of the book series: Boston Studies in the Philosophy and History of Science ((BSPS,volume 332))

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Abstract

In the Middle Ages, the concept of contingency was thought in connection with practice as a bridge between freedom and providence, indetermination, and necessity. In theology and ethics, natural contingency was seen as the necessary presupposition for free will, human responsibility, and salvation. In the Renaissance, the concept of contingency was transplanted from the ethical and theological fields to ontology and epistemology, in order to support natural and methodological reflection on the practical arts. Owing to advances in technology and the arts, the articulation of theory and practical experience was a theoretical challenge for practitioners with a theoretical predisposition as well as for learned scholars with a practical bias in disciplines as varied as mechanics and medicine. In this context, as I will argue, contingency permitted them to conceptualize the link between experience and theory. The theoretical reflection on practice, was even extended to literary theory, especially poetical composition, on the basis of theoretical conceptions crossing heterogeneous realms of human experience, practice and knowledge. In fact, it was assumed that nature and human activity are a continuum and the creative power of human ingenuity, and skillfulness is akin to forces operating in nature. In this essay, I will show that the Renaissance connection of practice and theory in the discourse on experience and its codification presupposed an ontology and an epistemology of contingency.

This essay is a continuation and expansion of themes discussed in Omodeo and Renn (2015). I am particularly thankful to Jürgen Renn for his valuable suggestions and thorough discussion of the themes of this essay.

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Notes

  1. 1.

    Luhmann calls this a “doppelte Referenz von Möglichkeit und Sein.”

  2. 2.

    “Et ideo astrologi ut in pluribus vera possunt praedicere, et maxime in communi. Non autem in speciali, quia nihil prohibet aliquem hominem per liberum arbitrium passionibus resistere. Unde et ipsi astrologi dicunt quod sapiens homo dominatur astris, inquantum scilicet dominatur suis passionibus.” Quoted from http://dhspriory.org/thomas/summa/FP.html (Accessed 18 January 2016), translation slightly revised.

  3. 3.

    Cf. to Vanden Broecke, infra.

  4. 4.

    Melanchthon accomplished the translation of Ptolemy’s astrological work along with Joachim Camerarius.

  5. 5.

    On Melanchthon’s astrology and physics, see Kusukawa (1995).

  6. 6.

    Cf. Omodeo, “Secundum quid and contingentia,” infra.

  7. 7.

    “Perquanto al suo quesito, stimo benissimo quanto ne dice V.S. Ill.ma, e che quando cominciamo a concernere la materia, per la sua contingenza si cominciano ad alterare le proposizioni in astratto dal geometra considerate; delle quali così perturbate siccome non si può assegnare certa scienza, così dalla loro speculazione è assoluto il matematico.”

  8. 8.

    “Giudicai esser necessario di congiungere con gli studii, la pratica, per la quale volsi veder la Fiandra, et altri paesi, et particolarmente notare quei successi, che alla militia si appartengono: con le varie opinioni che sentivo proporre per fortificare, et dipoi l’opere che venivano fatte: onde viddi tanta diversità, che facilmente si saria potuto credere, che l’arte del fortificare non havesse alcun fondamento dimostrabile, et che una opera di tanta importanza venisse fatta a caso.”

  9. 9.

    “Ma prima che più avanti procediamo, sarà necessario avvertire alla differenza che si ritrova tra il puro matematico speculativo et il mecanico pratico […] perché le dimostrazioni, e proporzioni, che si ritrovano tra le linee superficie e corpi imaginari, e separati dalla materia, non rispondono così exquisitamente quando alle cose materiali si applicano, cioè che i concetti mentali del matematico non ricevono né sono sottoposti a quegli impedimenti che di sua natura sempre porta seco congiunti la materia, con che opera il mecanico […] se bene la dimostrazione matematica ne persuade necessariamente […].” The grammar and style of the original sources have been standardized and modernized, in particular punctuation and capitalizations.

  10. 10.

    “Adunque per le cose dette, ricorderò a quelli che si vorranno porre a così fatte imprese nel giudicare, overo comandare la essecutione, di qualsivoglia machina, essersi necessario non solo havere cognitione delle matematiche, ma ancora essere avveduto, e pratico mecanico.”

  11. 11.

    Translation revised. Cf. Cardano (1663, 49a): “In negotiis non ut in artibus generis cognitio quidquam iuvat, sed quantitatem scire oportet: Possumus enim prodesse rhabarbarum exhibendo tertiana laboranti, etiamsi nesciamus quantitatem; at melius est tacere, aut non invisere clientem, si modum in actione adhibere nesciveris.”

  12. 12.

    “Est vero hac ars [arithmetica] omnium certissima non tantum ratione, sed et sensu: unde et inter ipsas mathematicas ob hanc causam praeclarissima est.”

  13. 13.

    “Inventio ipsa sapientia praestantior est: quoniam sapientia humana res est perexigua, tum ob vitae brevitatem, tum ob tot impedimenta, quae hominibus occurrunt etiam in temporibus felicissimis: at inventio infinitis simul satisfacit velut qui de triangulo demonstravit, quoniam tres angulos habet duobus rectis aequales, de infinitis et licet numero tantum differentibus: etiam iuxta species idem continget […]. Itaque inventio potestate quidem infinita actu vero finita: Igitur haec pene sola infinitum cum finito coniungit. Nosque cum Diis continuat.”

  14. 14.

    “Mechanico è vocabolo honoratissimo, dimostrante, secondo Plutarco, mestiero alla Militia pertinente, et convenevole ad huomo di alto affare, et che sappia con le sue mani et co’l senno mandare ad esecutione opre maravigliose a singulare utilità et diletto del vivere humano.” The same positive judgment can be found in Lorini (1596, 172): “Né sia alcuno, benché Signor grande, che si sdegni se con nome di mecanico venisse nominato, perché, come da Plutarco e da altri grandi autori è stato detto, esso nome è honorato appartenendosi solo a huomini di grande ingegno e valore, e che sappino co’l senno e con la mano ritrovare e mettere a essecuzione opere grandi, e massime alla milizia appartenenti.” On the opposite “prejudice” concerning “vile mechanics,” see among others, Rossi (2001, 15–17).

  15. 15.

    Translation slightly revised.

  16. 16.

    “[…] constat summam Geometriae rationem maximum Opificem in mundi constitutione conservasse: nihilque magis illa in eius constructione, imo et solam illam spectari debere. Sed forsitan quis quaerat, num ex hac ratione aperta septem erraticarum ratio habeatur? Certe sic.”

  17. 17.

    “Avendo più volte fra me stesso considerato l’ordine maraviglioso della Natura, e chiaramente veduto non esser creata cosa alcuna imperfetta, anzi tutte (con forma al genere suo) perfettissime, et affine di apportar commodo et utile all’huomo, il quale essendo fattura et immagine di Dio, e per così dire, fratello della Natura, e padre dell’Arte, mi son mosso a credere che egli sia del tutto obligato ad imitare essa Natura, e con l’arte far tutte l’opere sue buone, e prima ad honore di Dio nostro Signore, e poi a beneficio del prossimo. Perciocché dominando tutte l’altre cose terrene, le deve superare di perfettione tanto più quanto si trova esser maggiore la sua nobiltà, come creatura ragionevole, e da’ Filosofi paragonato ad un picciol mondo.”

  18. 18.

    “[…] Sì come potrà vedere ciascuno che piglierà piacere di leggere il presente Volume, che io gli appresento, in cui scorgere si puote tutte quelle stupende cose, che la natura, l’arte o lo ingegno humano con tal scienza possa, o sappia fare innanzi a gli occhi de i viventi.”

  19. 19.

    “Per il che egl’è cosa manifesta che dal moto naturale si causa il violente, et non e converso, cioè che dal violente giamai viene causato il naturale, anci si causa per se.”

  20. 20.

    “Unde vos, qui Magiam visuri acceditis, nil aliud Magiae opera credatis, quam Naturae opera, uti ars ministra, et sedula famulatur. Sic ubi enim aliquid naturali cognationi deesse noscit, per vapores et numeros opportunis illud instaurat temporibus, ut in Agicultura ipsa Natura herbas, et segetes parit, ars vero praeparat.”

  21. 21.

    “Non l’arte, o l’ Archimista genera, e produce l’oro, ma la natura disposta però, et aiutata dall’Archimista, e dall’arte, non altramente che la sanità in un corpo malato non si rende né dalla medicina, né dal medico, ma dalla natura disposta però, e aiutata del medico, e dalla medicina. […] Onde si vede manifestamente, che non l’arte fa i metalli, ma essa natura, se non quanto l’arte è strumento.”

  22. 22.

    “Motus non ab anima sed a natura est […]. Intimum igitur est, quo movetur elementum.”

  23. 23.

    “DE NATURA: […] Ipsa est ars viva et quaedam intellectualis animae potestas, non alienam sed propriam, non extrinsecus sed intrinsecus, non electione tali, sed essentia tali, materia perpetuo figurans: utpote non sicut statuaris externe, cum discursu, et instrumento operatur, sed perinde ut Geometra, dum vehementer quodam affectu figuras imaginatur, spiritum eius intimum imaginatione movet atque figurat.”

  24. 24.

    Cf. Cusanus (1932, 97): “Forma […] descendit, ut sit contracte in possibilitate; hoc est, ascendente possibilitate versus actu esse descendit forma ut esse finiens, perficiens et terminans possibilitatem. Et ita ex ascensu et descensu motus exoritur conectens utrumque. Qui motus est medium conexionis potentiae et actus.”

  25. 25.

    Cf. Cusanus (1932, 97–98): “Est igitur hic spiritus per totum universum et singulas eius partes diffusus et contractus, qui natura dicitur. Unde natura est quasi complicatio omnium, quae per motum fiunt.”

  26. 26.

    “Ma se uno involatore delle ‘nvenzioni altrui dee essere schernito e punito, sì dovrebbe essere il poeta involatore, la cui essenzia consiste nella ‘nventione e senza essa inventione non è poeta.” On Renaissance commentaries to Aristotle’s Poetics, see Kappl (2006) and Schmitt (2002).

  27. 27.

    “Sola poesis haec omnia complexa est, tanto quam artes illae excellentius, quod caeterae, ut dicebamus, res ipsas uti sunt repraesentant, veluti aurium pictura quadam. At poeta et naturam alteram et fortunas plures etiam ac demum sese istoc ipso perinde ac deum alterum efficit. Nam quae omnium opifex condidit, eorum reliquae scientiae tamquam actores sunt. Poetica vero, cum et speciosius quae sunt et quae non sunt eorum speciem ponit, videtur sane res ipsas non ut aliae quasi histrio narrare, sed velut alter deus condere, unde cum eo commune nomen ipsi non a consensu hominum, sed a naturae providentia inditum videatur. Quod nomen Graeci sapientes […] commodissime παρὰ τὸ ποιεῖν effinxissent […].”

  28. 28.

    “Poema est opus ipsum, materia, inquam, quae fit. Poesis autem ratio ac forma poematis, ut habeas a tribus verbi personis totidem nomina: poema – πεποίημαι, poesis – πεποίησαι, poeta – πεποίηται, quemadmodum εὕρημα, εὕρεσις, εὑρετής. Est igitur Ilias poema, Homerum poeta, ratio et forma qua Margites facta est poesis. Poetice vero scientia, id est habitus ex dispositione praeceptionum quibus docemur ad conformationem hanc quam poesin appellamus.”

  29. 29.

    “Tale ingegno, adunque, e tal furore […], ricerca Democrito e Horatio in un poeta che voglia esser eccellente e degno di cotanto nome. Ma in che maniera nel poeta e l’uno e l’altro si venga a fare noi nel nostro corso il vedremo, se avertiremo prima che tutto questo universo corporeo è animato e retto da un’anima ragionevole e eterna, et che parimente i bassi elementi sono mossi e agitati da simili anime; et che questo ciel della Luna sia del medesimo modo animato, e ancor quello di Mercurio, e quel di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, e finalmente lo Stellato habbiano ciascuno l’anima sua ragionevole, appartata da quella de gli altri. Le quale otto anime delle otto sfere celesti, e quella dell’universo chiamarono gli huomini savi del nostro mondo Muse, prendendo cotal nome dalla musica e dall’armonia soavissima che causano i cieli, mossi dalle predette anime e dall’universale, la quale tutte l’altre governa e tempera […].”

  30. 30.

    “Adunque, per questo così generale significato, poeta sarà ogni artefice e ogni facitor di cosa che non più sia stata, secondo che nel Timeo [Platone] chiamò poeta il facitor del mondo, e Plotino, il grande, suo seguace, poeta mondano chiamò la providenza, perché quelli fece il mondo, e questa tuttavia nel mondo fa cose non state prima. E poesia sarà facitura di cosa tale e poema ogni opera così fatta, e poetica l’arte di farla.”

  31. 31.

    Ofer Gal and Raz Chen-Morris give important clues about the epistemology underlying the physicalization of mathematics in Early Modernity (Gal and Chen-Morris 2013, Chap. 4). On the move toward a physicalization of mathematics, also see Schuster (2013, 56).

  32. 32.

    “Huius distributionis non alia, quod legerim, a philosophis affertur causa, nisi quod in aliquem ordinem erant cuncta disponenda, placuit autem Summae Providentiae in hunc distribuere. […] Attamen, si rem accuratius spectemus, non erit profecto existimandum, nullam in tali distributione necessitatem aut utilitatem habuisse naturam, sed solum ad libitum et casu quodammodo operatam esse. Hoc cum provida natura nullo pacto existimari posse perpenderem, interdum anxius fui in excogitanda, nisi necessaria saltem congruente ac utili, aliqua causa: ac profecto, non nisi optimo iure summaque prudentia hunc elegisse ordinem naturam, comperi.”

  33. 33.

    “Sagr. […] Il concetto è veramente degno di Platone; ed è tanto più da stimarsi, quanto i fondamenti taciuti da quello e scoperti dal nostro Autore, con levargli la maschera o sembianza poetica, lo scuoprono in aspetto di verace istoria. E mi pare assai credibile, che avendo noi per le dottrine astronomiche assai competente notizia delle grandezze de gli orbi de i pianeti e delle distanze loro dal centro intorno al quale si raggirano, come ancora delle loro velocità, possa il nostro Autore (al quale il concetto Platonico non era ascosto) aver tal volta per sua curiosità auto pensiero d’andare investigando se si potesse assegnare una determinata sublimità, dalla quale partendosi, come da stato di quiete, i corpi de i pianeti, e mossisi per certi spazii di moto retto e naturalmente accelerato, convertendo poi la velocità acquistata in moti equabili, si trovassero corrispondere alle grandezze de gli orbi loro e a i tempi delle loro revoluzioni.

    Salv. Mi par sovvenire che egli già mi dicesse, aver una volta fatto il computo, ed anco trovatolo assai acconciamente rispondere alle osservazioni, ma non averne voluto parlare, giudicando che le troppe novità da lui scoperte, che lo sdegno di molti gli hanno provocato, non accendessero nuove scintille. Ma se alcuno avrà simil desiderio, potrà per sé stesso, con la dottrina del presente trattato, sodisfare al suo gusto.”

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Omodeo, P.D. (2019). Practices and Theories of Contingency in Renaissance Approaches to Nature. In: Omodeo, P.D., Garau, R. (eds) Contingency and Natural Order in Early Modern Science. Boston Studies in the Philosophy and History of Science, vol 332. Springer, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-319-67378-3_5

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