Introduzione

Negli ultimi anni si è registrato un interesse sempre crescente verso la Medicina Rigenerativa, quella branca della medicina, di sviluppo relativamente recente, che si occupa della riparazione, rigenerazione e sostituzione di tessuti e organi e del ripristino delle funzioni compromesse da infortuni, patologie e invecchiamento.

Sull’onda di questo interesse si sono moltiplicati gli studi condotti in vitro sulla rigenerazione tissutale e la loro applicazione in differenti aree cliniche e, sebbene ci siano stati inevitabili fallimenti iniziali, al momento i risultati positivi cominciano a diventare sempre più consistenti. Notevole interesse hanno fatto registrare le possibilità di applicazione di terapie biologiche per il trattamento delle patologie degenerative in ambito ortopedico, in virtù del potenziale di accelerare i processi di guarigione attraverso meccanismi di rigenerazione o immunomodulazione [1]. Numerosi e differenti approcci biologici sono stati proposti per queste patologie, fra cui il Platelet Rich Plasma (PRP), il Bone Marrow Aspirate Concentrate (BMAC) e le terapie cellulari.

Nonostante i numerosi sforzi della ricerca [2, 3], tuttavia, non sono ancora disponibili sufficienti evidenze in grado di garantire applicazioni cliniche riproducibili per le quali sono necessari studi clinici sempre più rigorosi e accurati, in modo da chiarire numerosi aspetti di questo affascinante settore della ricerca.

Il PRP: the basics

Il PRP è un concentrato autologo di piastrine in un piccolo volume di plasma [4, 5] con una concentrazione di piastrine superiore a 1 milione per millilitro di siero o cinque volte il valore basale [6], necessaria per stimolare efficacemente le cellule danneggiate alla guarigione [7, 8].

In realtà, a testimonianza dei numerosi dubbi e aspetti ancora oscuri sulla biologia di questa metodica terapeutica, uno studio recente di Fleming [9] ha mostrato come, invece, soltanto un numero di piastrine al livello basale possa migliorare i processi di guarigione.

Il razionale d’utilizzo del PRP, ad ogni modo, si basa sulla conoscenza ormai consolidata di alcuni processi biologici. Le piastrine sono la prima componente ematica a giungere sul sito della lesione, e hanno il potenziale di rilasciare fattori di crescita che giocano un ruolo decisivo nel modulare la risposta riparativa tissutale [10]. Questi fattori di crescita vengono rilasciati dai granuli piastrinici e la loro degranulazione può essere attivata utilizzando, in vitro, trombina o altri fattori di induzione ambientale [11, 12]. La maggior parte di queste molecole può essere rilasciata nell’arco di 10 minuti circa, costituendo quindi una risposta estremamente rapida all’insulto esterno [13]. Alcuni di questi growth factors sono selettivamente regolati da proteine dei granuli sia per l’attivazione che per l’inibizione [14] e sono oggetto di studio i meccanismi endogeni o esogeni che possono attivare i granuli a secernere alte concentrazioni di fattori di crescita [15].

Se i progressi nel campo della ricerca di base hanno chiarito gran parte degli aspetti biologici fino a pochi anni fa sconosciuti, il problema è il passaggio alla ricerca clinica. A fronte di numerosi studi pubblicati, infatti, sono pochi gli ambiti nei quali vi sia un consenso unanime, come circa l’ottimale metodica di preparazione e composizione del PRP per ciascuna differente indicazione clinica [16]. Oltre a ciò, vi sono numerosi dubbi sul fatto che un singolo preparato possa trattare condizioni patologiche differenti. Molti fattori di crescita e citochine presenti nel PRP, infatti, agiscono dentro percorsi biologici opposti e alcuni hanno effetti benefici in determinate applicazioni cliniche e deleteri in altre. Mentre, ad esempio, il TGF1 può avere effetti benefici profibrotici sulla guarigione dei tendini e dei legamenti [17] è stato dimostrato un suo effetto negativo sulle lesioni muscolari [18]. La comprensione del ruolo di ciascun fattore di crescita nello sviluppo delle specifiche patologie faciliterà l’identificazione delle componenti efficaci per ciascuna indicazione e lo sviluppo di preparazioni “customizzate” adatte alle specifiche differenti indicazioni.

Allo stesso modo, vanno chiariti alcuni aspetti come la variabile presenza di leucociti all’interno del preparato. Il PRP a bassa concentrazione di leucociti è indicato come agente in grado di indurre la crescita cellulare stimolando i processi anabolici dei condrociti, mentre il PRP ad alta concentrazione di leucociti promuove i processi catabolici che coinvolgono varie citochine [19] e possono produrre numerosi effetti differenti [20].

Un ulteriore problema, infine, è l’estrema variabilità delle preparazioni esistenti. La concentrazione di fattori di crescita dentro le preparazioni può essere influenzata da fattori donatore-specifici e dal metodo di “processamento” e applicazione dei fattori.

La conoscenza delle capacità rigenerative in vitro del PRP ha comunque orientato numerosi ricercatori a esplorarne l’uso per il trattamento delle patologie ortopediche quali quella tendinea [21], muscolare [22], cartilaginea [23] e ossea [24].

Applicazioni cliniche

L’efficacia del gel piastrinico nello stimolare i processi riparativi ne ha reso possibile l’utilizzo già alla fine degli anni ’90, in applicazioni cliniche come gli innesti autologhi e gli innesti con un misto di bone graft e sostituti ossei [25, 26], oltre a numerose applicazioni in chirurgia odontoiatrica e plastica ricostruttiva delle mucose. Dopo pochi anni, l’utilizzo clinico del PRP è stato esteso ad altre branche della medicina, tra cui l’ortopedia, ed esistono, in letteratura, numerosi report sull’utilizzo di PRP negli interventi riparativi in chirurgia del ginocchio [27,28,29,30], della spalla [31,32,33], della caviglia [34,35,36,37], della colonna vertebrale [38] e del gomito [39, 40]. Nonostante la mancanza di solide evidenze e l’incompleta comprensione dei meccanismi biologici alla base delle patologie muscolo scheletriche e, di riflesso, del funzionamento del PRP, sono numerosi i campi di applicazione di questo prodotto biologico per il trattamento conservativo di patologie articolari, ossee e muscolo-tendinee, sicuramente un quadro ancora non definito e non basato su evidenze solide, di indicazioni all’utilizzo di questa metodica.

Ricostruzione del LCA

La scienza di base e i modelli animali hanno dimostrato il rilascio di fattori di crescita che stimolano l’angiogenesi intorno al neolegamento, il rimodellamento e l’integrazione all’interfaccia osso/impianto [41, 42]. Sulla base degli studi clinici, inoltre, non sono state riscontrate differenze negli outcome in pazienti trattati con e senza PRP come supporto alla ricostruzione del LCA [43]. Il più significativo effetto clinico dell’utilizzo di PRP in supporto alla ricostruzione del LCA si è riscontrato nella sua applicazione al sito di prelievo del graft rotuleo, inducendo una risposta riparativa dei tessuti e un miglioramento degli outcome [44, 45].

Ricostruzione della cuffia dei rotatori

Numerosi studi hanno chiarito la capacità del PRP di incidere positivamente sulla rigenerazione del tessuto tendineo a livello cellulare inibendo la risposta infiammatoria, esercitando un’azione protettiva contro lo stress ossidativo che può indurre l’apoptosi cellulare e stimolando il rilascio di fattori di crescita che inducono angiogenesi e rigenerazione del tessuto tendineo [46, 47].

Il PRP è stato utilizzato come trattamento conservativo o di supporto alla chirurgia, mostrando buoni risultati nei casi di lesioni di dimensioni limitate e in acuto. Per quanto riguarda le lesioni massive i risultati sono stati peggiori, con un’insufficiente azione sui processi riparativi e una quota significativa di progressione della lesione [48, 49].

Una recente metanalisi non ha riscontrato differenze negli outcome e nella percentuale di recidiva della lesione fra pazienti trattati con e senza PRP durante la riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori [50].

Tendinopatie

In virtù delle sue proprietà biologiche sul tessuto tendineo [51], il PRP ha trovato diverse applicazioni nel campo delle tendinopatie.

Nel caso del tendine rotuleo, i dati sull’utilizzo del PRP sono inconsistenti [52] e nonostante, quindi, gli eventi avversi nell’utilizzo di questa metodica siano molto rari [53], l’efficacia del PRP nel trattamento di questa tenopatia non è ancora stata dimostrata.

Per quanto riguarda il tendine d’Achille, il PRP ha fornito risultati controversi, sia nella terapia conservativa che in quella chirurgica [54], mostrando maggiore efficacia sulle tendinopatie acute [55, 56]. Crescente è l’attenzione all’utilizzo di questa metodica anche nel trattamento dell’epicondilite, in particolare nei casi refrattari alla terapia conservativa classica. La ricerca in questo campo ha registrato buoni risultati con follow-up a 6 settimane [57] o con follow-up più lungo a 24 settimane, osservando una diminuzione significativa del dolore e ripresa delle attività [58].

Lesioni cartilaginee focali

Al momento non esistono terapie in grado di restaurare con certezza il tessuto cartilagineo originale. Numerose tecniche riparative sono state introdotte nel corso degli anni, con buoni risultati clinici complessivi anche se non è possibile, al momento, ottenere nuova cartilagine ialina. Il PRP è stato proposto come supporto a queste terapie chirurgiche (Fig. 1) con risultati di difficile interpretazione.

Fig. 1
figure 1

Lesione condrale del condilo femorale. Impianto di scaffold/PRP

La scienza di base e gli studi condotti su animali hanno mostrato risultati iniziali promettenti circa la capacità del PRP di regolare la proliferazione dei condrociti e la loro differenziazione, promuovere il rilascio di fattori di crescita limitando il processo infiammatorio e favorire la rigenerazione cartilaginea [59,60,61,62,63], documentata ai controlli RMN (Fig. 2).

Fig. 2
figure 2

Lesione condrale del condilo femorale, prima e dopo trattamento con PRP a 6 mesi di follow-up

Al momento i risultati sono piuttosto frammentari e mancano outcome a lungo follow-up e comprendenti elementi clinici come dolore, score funzionale, dati clinici e radiografici comparabili.

Osteoartrosi

La capacità del PRP di determinare una diminuzione della risposta infiammatoria e una risposta positiva in termini di riduzione del dolore e incremento del miglioramento funzionale [64] ne hanno fatto un candidato ideale alla terapia conservativa dell’osteoartrosi. Trial clinici che comparano acido ialuronico, PRP e placebo documentano la capacità del PRP di diminuire il dolore e migliorare la risposta funzionale in pazienti artrosici [65, 66]. Gli effetti benefici del PRP in questo campo di applicazione appaiono molto più pronunciati e di durata maggiore nei pazienti più giovani e con deformità degenerative minori [67]. La revisione sistematica dei trial clinici pubblicati, dei case report e degli studi di coorte conferma risultati superiori con iniezioni locali di PRP rispetto all’acido ialuronico o al placebo [68,69,70].

Al momento, il dosaggio e la frequenza raccomandati per il trattamento con PRP o la tipologia di PRP da utilizzare per il trattamento intra-articolare rimane poco chiara [71], il che rende difficile formulare un giudizio complessivo. Il PRP ha, comunque, dimostrato risultati significativamente positivi sul dolore e il recupero funzionale e la terapia appare ben tollerata e priva di effetti collaterali significativi, mentre mancano elementi in grado di giungere a una standardizzazione delle modalità e del timing di applicazione clinica.

Lesioni muscolari

In questo ambito, forse maggiormente che in altri, i dati sono estremamente confusi, rendendo al momento impossibile formulare un giudizio definitivo in quanto manca un accordo comune sulle modalità di utilizzo del PRP e sulla raccolta degli outcome clinici [72,73,74,75]. Al momento non è possibile indicare in quali casi sia possibile utilizzare il PRP con la possibilità di ottenere effetti positivi e c’è bisogno di organizzare studi con maggiore rigorosità nella randomizzazione e nelle procedure di blinding per cui, al momento, il PRP non può essere considerato un’alternativa alle terapie classiche nelle lesioni muscolari ma un adiuvante che può supportare la terapia fisica e le altre strategie più consolidate per il trattamento di questi infortuni.

Discussione

L’utilizzo del PRP, nell’ambito delle terapie biologiche applicate all’ortopedia, resta un campo di ricerca affascinante e promettente, nonostante le controversie esistenti nella letteratura scientifica attuale.

Nel 2015, l’American Academy of Orthopaedic Surgeons (AAOS) ha tenuto un simposio per identificare i gap conoscitivi nell’ambito del trattamento biologico delle patologie ortopediche e stabilire direttive consensuali sulle direzioni che la ricerca in tale ambito dovrebbe prendere. Gli esperti che vi hanno partecipato hanno trovato comune accordo sul fatto che la via più efficace per ottenere una transizione significativa dalla ricerca di laboratorio alla pratica clinica è l’utilizzo di un approccio traslazionale basato su evidenze scientifiche e una maggiore integrazione fra ricercatori, legislatori e industria (Fig. 3).

Fig. 3
figure 3

Consensus statement sul PRP (da [76])

Nonostante l’incertezza nei risultati, comunque, queste procedure stanno assumendo un ruolo sempre maggiore all’interno della pratica clinica, ponendo anche un problema relativo ai costi, in mancanza di un reale rapporto costi/benefici per modelli terapeutici che in virtù di queste incertezze non sono ancora basate su solide evidenze scientifiche.

Il problema dei costi è un elemento di riflessione condiviso in differenti ambiti di discussione scientifici e politici e, a tal proposito, la Fondazione GIMBE effettua periodicamente una ricerca dell’impatto degli sprechi sul Sistema Sanitario Nazionale, individuando al primo posto il “Sovra-utilizzo di interventi sanitari inefficaci e inappropriati”, per un volume di 6,48 miliardi di euro. Tenere insieme i promettenti risultati della ricerca con le necessità di utilizzare procedure sicure ed evitare sprechi vuol dire considerare l’opzione delle terapie biologiche come frontiera da esplorare, procedendo a una standardizzazione dei criteri di selezione dei pazienti, delle misure di outcome, delle procedure cliniche e alla redazione di studi clinici randomizzati in cieco per una maggiore mole di dati statisticamente significativi a disposizione della ricerca.

Accanto a questo, sicuramente è auspicabile l’istituzione di registri regionali, coordinati dalle Università e dalla Società scientifiche, per l’avvio dei registri regionali, strumento essenziale per la raccolta dei dati e la loro analisi rigorosa, allo scopo di ottenere sempre maggiori informazioni significative dal punto di vista statistico e progredire nella conoscenza di queste metodiche, lavorando alla redazione di indicazioni specifiche, precise e standardizzate.