Abstract
Monteggia fractures represent the association of a fracture of the proximal ulna and luxation of the radial head. This type of lesion is infrequent and may be misdiagnosed, particularly in paediatric patients. Classification of these injuries is based on the scheme proposed by Bado and later supplemented by other authors to better discriminate doubts and to guide the treatment. The treatment of choice of acute Monteggia lesions in the paediatric age is in most cases conservative, and it involves reduction and immobilisation in a cast. Surgery is mostly reserved for complex cases and for inveterate lesions that represent a high risk for chronic disorders and disabling sequelae; in these cases, the choice of treatment remains controversial. The aim of this article is to describe the anatomical-pathological characteristics, the diagnostic criteria, and the principles of treatment of Monteggia lesions in the paediatric age.
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Introduzione
Originariamente descritta da Giovanni Battista Monteggia nel 1814, la lesione di Monteggia [1] è una frattura del terzo prossimale dell’ulna, associata a una dislocazione della testa radiale. Le fratture di Monteggia più comunemente risultano da un trauma diretto con gomito esteso e avambraccio in iper-pronazione. L’energia della frattura ulnare viene trasmessa lungo la membrana interossea che porta alla rottura del quadrante prossimale e dei legamenti anulari, interrompendo l’articolazione radio-ulnare prossimale. Le fratture di Monteggia rappresentano all’incirca dall’1 al 2% di tutte le fratture dell’avambraccio.
Sistema di classificazione
Nel 1967, Bado classificò le fratture di Monteggia in quattro tipi (Fig. 1) in base alla direzione della dislocazione della testa radiale [2]:
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Tipo I: frattura dell’ulna con dislocazione anteriore della testa radiale. Sono stati descritti tre meccanismi principali:
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meccanismo indiretto con iper-pronazione responsabile della lussazione della testa radiale, con trasferimento del carico completo all’ulna, che si frattura
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meccanismo indiretto con iper-estensione che induce la contrazione riflessa del muscolo bicipite responsabile della lussazione della testa radiale, che è seguita da una frattura dell’ulna
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meccanismo diretto in cui un trauma posteriore all’ulna causa una frattura ulnare posteriormente angolata che lussa il capitello radiale dall’articolazione
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Tipo II: frattura dell’ulna con dislocazione posteriore della testa radiale. Meccanismo di lesione: carico assiale diretto sull’avambraccio con un gomito leggermente flesso. Il tipo più comune negli adulti, rappresenta circa l’80% dei casi. Associata a un’instabilità dell’articolazione omero-ulnare, alti tassi di frattura della testa radiale e lesione del nervo interosseo posteriore
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Tipo III: frattura ulnare con lussazione radiale della testa diretta lateralmente. Meccanismo di lesione: direzione della forza lesiva in varismo su un gomito che porta a una frattura dell’ulna a legno verde. È più frequente nei bambini
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Tipo IV: lussazione anteriore del capitello radiale associata a contemporanea frattura di radio e ulna prossimale. Tipo più raro e meccanismo ancora poco compreso.
Jupiter [4] ha inoltre suddiviso le lesioni tipo II in 4 sottotipi: una frattura ulnare che coinvolge il processo coronoideo e l’olecrano (tipo 2A), una frattura localizzata distalmente al processo coronoide, alla giunzione tra metafisi e diafisi (tipo 2B), una frattura ulnare che è rigorosamente diafisaria (tipo 2C) e una frattura ulnare complessa dall’olecrano alla diafisi (tipo 2D).
Anche Bado ha descritto altre cosiddette lesioni “Monteggia-like”. Esse includono: la dislocazione isolata (anteriore) della testa radiale; la frattura biossea di radio e ulna prossimali con la rima di frattura radiale più prossimale di quella ulnare; la lussazione di gomito associata a frattura dell’ulna ed eventuale frattura di radio; la frattura isolata del collo radiale. Secondo Bado, queste lesioni, pur essendo meno frequenti, condividono gli stessi meccanismi traumatici delle lesioni di Monteggia classiche.
Inoltre, notando che molte osservazioni riguardanti la lesione di Monteggia erano state fatte negli adulti, Letts e collaboratori hanno proposto un’ulteriore sotto classificazione di lesioni di Monteggia in età pediatrica, basata sulle caratteristiche della lesione ulnare:
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tipo A: deformazione plastica a convessità anteriore dell’ulna
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tipo B: frattura a legno verde dell’ulna
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tipo C: frattura completa dell’ulna.
I primi tre tipi di Letts sono sempre associati a lussazione anteriore della testa radiale; sono pertanto considerabili come sottotipi della lesione tipo I di Bado.
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tipo D: equivalente alla frattura tipo II di Bado
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tipo E: equivalente alla frattura tipo III di Bado.
Diagnosi clinico-radiologica
La bassa frequenza delle lesioni di Monteggia si traduce in una limitata familiarità con la loro diagnosi tra medici di emergenza e radiologi [4]. In particolare nei bambini, la diagnosi di lesione di Monteggia è più difficile e può essere sottostimata, dando luogo alle lesioni croniche e sequele invalidanti. È stato riportato che tra il 20 e il 50% delle lesioni di Monteggia non vengono correttamente inquadrate alla prima diagnosi [5]. Di conseguenza, dev’essere mantenuto un altissimo livello di sospetto. Il chirurgo deve esaminare le radiografie, anche se sono state interpretate come normali. Il posizionamento deve essere valutato attentamente e ulteriori radiografie, se necessario, devono essere eseguite, in particolare quando l’intero avambraccio non è visibile. Una proiezione laterale del gomito deve essere disponibile.
Dopo la fase acuta, la lussazione della testa radiale può rimanere asintomatica per diverse settimane o mesi. Il range di movimento può essere limitato, in particolare durante la flessione quando una testa radiale anteriore dislocata entra in contatto con l’epifisi omerale. La testa radiale sporgente può essere visibile e palpabile e questa anomalia è spesso ciò che spinge i genitori a chiedere consiglio medico.
Nei bambini, la dislocazione della testa radiale cronica provoca ipertrofia, non solo del capitello radiale, ma anche di tutto il radio prossimale che diventa troppo lungo. Di conseguenza, la lussazione cronica della testa radiale non può essere ridotta chirurgicamente, a meno che non venga eseguita anche una procedura sull’ulna. Inoltre, la crescita radiale viene stimolata post-traumaticamente, forse a causa di un’eccessiva trazione sul periostio o sulla membrana interossea [6]. L’apposizione periostale è spesso visibile, insieme allo sviluppo precoce del centro di ossificazione radiale epifisario sul lato della lesione. L’eccesso di lunghezza radiale non è solo assoluto, ma anche relativo. L’ascensione del radio può destabilizzare il polso, diminuendo o invertendo l’indice radio-ulnare distale [7]. La superficie articolare capitellare diventa appiattita e atrofica, e la superficie articolare del radio perde la sua forma originale, così che l’articolazione radio-omerale non è più congruente. Il gomito può diventare doloroso, in particolare quando la testa radiale viene sublussata con sviluppo di artrosi precoce. I resti del legamento anulare possono essere sottoposti a ossificazione, creando calcificazioni ectopiche [8]. Poiché il ruolo principale del radio nell’assicurare la stabilità laterale è perso, si sviluppa gradualmente un cubito valgo. Lo stiramento del nervo ulnare o del nervo interosseo posteriore può causare, di conseguenza, disturbi neurologici. Tali disturbi possono essere presenti sin dall’inizio nei casi più gravi; pertanto, l’esame obiettivo di ogni paziente con sospetta lesione di Monteggia deve comprendere un attento esame neurologico.
Dal punto di vista radiologico, deve essere anzitutto osservata la seguente regola: in assenza di prove contrarie, una frattura isolata dell’ulna è da considerarsi una lesione di Monteggia. La dislocazione della testa radiale può essere rilevata sulle radiografie del gomito disegnando la linea radio-capitellare descritta da Storen [9]. Tale linea passa per il collo del radio su una proiezione laterale vera e interseca nel centro il condilo omerale. Ha una sostanziale affidabilità diagnostica, sebbene possa essere falsamente positiva nel 9% dei casi e soggetta a variazioni fisiologiche legate a sesso ed età [10–12]. Un altro parametro radiologico utile, visibile nella proiezione laterale dell’avambraccio, è il segno dell’arco ulnare descritto da Lincoln e Mubarak [13]. Infatti, i pazienti con dislocazione del capitello apparentemente isolata avevano costantemente una leggera curvatura nell’ulna sulla radiografia laterale. Anche la più piccola deviazione della corticale ulnare posteriore da una linea retta indicava una frattura misconosciuta. In caso di sublussazione della testa radiale, le radiografie antero-posteriori e laterali del gomito in piena pronazione e supinazione possono aiutare a rilevare l’instabilità della posizione della testa radiale. Altri parametri forniscono un’analisi più precisa. Ad esempio, il rapporto testa-collo sulla radiografia laterale può servire a documentare l’ipertrofia della testa radiale [14].
Trattamento chirurgico
L’evoluzione della gestione delle fratture-lussazioni di Monteggia può essere considerata in 3 periodi cronologici [15]. Nel primo periodo (1814–1939), le componenti della lesione di Monteggia furono identificate e l’importanza di ridurre la lussazione della testa radiale e la frattura della diafisi ulnare divenne evidente. Nel periodo intermedio (1940–1990), la disponibilità di impianti ha reso possibile una riduzione aperta e una fissazione interna della diafisi ulnare. Vi è stata anche una maggiore consapevolezza del meccanismo della lesione e delle variazioni della lesione originale. Nell’attuale periodo (1991 e successivi), sono stati ottenuti risultati migliori in seguito al rapido riconoscimento del danno e alle migliori tecniche di fissazione.
Lesione di Monteggia acuta
Nei bambini la maggior parte delle lesioni in acuto può essere trattata mediante riduzione chiusa dell’ulna, con una combinazione di trazione longitudinale, rotazione dell’avambraccio e pressione diretta applicata all’apice della frattura. Sfortunatamente, l’elevato tasso di diagnosi “missing” al primo inquadramento rende le lesioni croniche o inveterate abbastanza frequenti. Nei bambini piccoli, infatti, le fratture sono spesso dislocate in minima parte, considerate non gravi e trattate in modo incruento. Nel pronto soccorso l’attenzione si concentra sulla frattura ulnare. Tuttavia, anche le lesioni ulnari spostate in minima parte devono essere considerate con attenzione: in uno studio su bambini con fratture Monteggia inizialmente misconosciute, Delpont e collaboratori hanno rilevato che lo spostamento angolare medio dell’ulna era solo \(5^{\circ}\) [16].
Il trattamento in acuto e fino a 2 o 3 settimane dopo l’infortunio è semplice: la riduzione anatomica dell’ulna mediante manovre incruente è solitamente sufficiente per ridurre la testa radiale e produrre risultati eccellenti [17]. La procedura dovrebbe essere eseguita in sala operatoria, sotto controllo fluoroscopico. La fissazione interna dell’ulna è raccomandata se c’è il minimo dubbio sulla stabilità della frattura ridotta [18]. In genere, se il capitello è perfettamente stabile durante la massima pronazione e supinazione, non è necessario alcun ulteriore trattamento; qualora invece la testa rimanga instabile, si esegue la fissazione interna dell’ulna solitamente mediante inchiodamento endomidollare elastico. Una placca può essere posizionata sull’ulna in pazienti con frattura prossimale o comminuta. L’immobilizzazione è tramite gomitiera gessata per 6 settimane.
La posizione dell’avambraccio dipende dalla direzione della dislocazione:
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Bado 1: il gomito deve essere a 90° di flessione (o anche di più, per eliminare completamente la trazione sul radio prossimale dal muscolo bicipite) e l’avambraccio in completa supinazione [19]
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Bado 2: riduzione ottenuta mediante trazione longitudinale, con il gomito esteso, combinato con la pressione diretta da posteriore ad anteriore e gesso in estensione [20]
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Bado 3: la riduzione si ottiene forzando in valgo, con il gomito esteso e con una pressione diretta da laterale a mediale sul capitello radiale. Il braccio è immobilizzato come per le lesioni di Bado 1 o con il gomito esteso e in valgo forzato
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Bado 4: poiché entrambe le ossa dell’avambraccio sono fratturate, di solito è necessario un intervento chirurgico per garantire una stabilità ottimale.
Un controllo clinico e radiografico deve essere eseguito a 7 e 10 giorni dal trattamento.
L’irriducibilità della testa radiale in acuto suggerisce lesioni concomitanti, da trattare mediante un approccio chirurgico. Lo spostamento della testa radiale di solito causa lesioni del legamento anulare. Tuttavia, questo legamento può rimanere intatto e collegato al legamento collaterale laterale e all’ulna. Quando il legamento anulare è intatto o solo parzialmente lesionato, il capitello radiale può risultare irriducibile anche immediatamente dopo il trauma. Altre cause di irriducibilità sono l’interposizione del tendine del bicipite [21] o del nervo interosseo posteriore [22]. Pertanto, i disturbi neurologici dovrebbero essere cercati di routine durante la valutazione fisica iniziale. Essi si risolvono spontaneamente comunque nella maggior parte dei casi e l’esplorazione chirurgica viene presa in considerazione solo dopo 6 mesi di sintomatologia.
Lesione di Monteggia cronica
La maggior parte degli studi ha utilizzato un cut-off di 4 settimane prima di considerare una lesione di Monteggia “cronica” in quanto il capitello radiale è considerato irriducibile, usando metodiche incruente, dopo questo termine [23–25]. Se la frattura viene trattata dopo 3–4 settimane, le interposizioni di solito impediscono al capitello radiale di riportarsi nella sua posizione normale. La prognosi a medio-lungo termine di tali lesioni croniche può essere sfavorevole, con possibile dolore, tumefazione palpabile, limitazione articolare, instabilità, deformità progressiva in valgo e neuropatia ulnare, artrosi meta-traumatica [26]. Il trattamento di tale condizione rimane tuttavia controverso e diverse strategie sono state prospettate, dall’astensione alle tecniche chirurgiche combinate, senza significative evidenze circa l’approccio più efficace. Le procedure ricostruttive in tali condizioni comprendono la riduzione aperta dell’articolazione radio-capitellare prossimale associata a ricostruzione o riparazione del legamento anulare oppure l’osteotomia correttiva dell’ulna con fissazione interna o esterna [27–30].
La riduzione a cielo aperto viene generalmente eseguita attraverso l’accesso di Kocher (Fig. 2); l’articolazione radio-capitellare viene esplorata e i tessuti cicatriziali, calcifichi e interposti, vengono rimossi per consentire la riduzione. Il legamento anulare, qualora rinvenuto, può essere riparato, soprattutto nelle lesioni più recenti. Nelle lesioni più datate, il legamento anulare è spesso irrecuperabile e ci si avvale pertanto di ricostruzioni, la più nota delle quali e quella descritta da Bell Tawse [29], con trasposizione di lembo scolpito nella fascia tricipitale (Fig. 3).
Sviluppata per primo da Bouyala e colleghi [30], l’osteotomia dell’ulna prossimale può essere o meno associata alla riduzione cruenta del capitello radiale. L’osteotomia ulnare può essere eseguita a livello del punto di massima deformità (CORA) o nel punto più prossimale possibile, compatibilmente con l’utilizzo di placche (Figg. 4, 5) o fissatori esterni (Figg. 6, 7, 8) (osteotomia compensatoria). Scopo di tale osteotomia è quello di iper-correggere l’angolo di recurvato (si può correggere fino a 45°) dell’ulna per garantire che la membrana interossea applichi trazione sul capitello radiale con conseguente riduzione indiretta. Viene in genere utilizzata nelle dislocazioni anteriori creando un cuneo ad apertura posteriore e aggiungendo inoltre una procedura di allungamento ulnare, se necessario. Nel tempo, il rimodellamento osseo può ripristinare la linearità dell’ulna. La fissazione si ottiene utilizzando una placca sagomata con o senza innesto osseo. Al fine di evitare ritardi di consolidazione e pseudoartrosi o di dover revisionare l’osteotomia in caso di residua instabilità articolare, utilizziamo attualmente un’altra tecnica che prevede l’impianto di un fissatore esterno dopo l’osteotomia. In seguito, il fissatore viene gradualmente angolato sino alla riduzione del capitello radiale, che può avvenire senza intervenire sull’articolazione. Qualora ciò non avvenisse, si procede con un’ulteriore riduzione cruenta [31].
Discussione
Attualmente, mentre il trattamento delle lesioni di Monteggia acute è generalmente condiviso e accettato, le maggiori controversie riguardano il trattamento delle cosiddette lesioni croniche o inveterate. In tale situazione, il trattamento conservativo può comportare nel giro di breve tempo l’instaurarsi di deformità significative della testa del radio che possono impedire definitivamente il ripristino dei corretti rapporti articolari [14], con possibile comparsa di rigidità blocco articolare, dolore, deformità in valgo, neuropatia e degenerazione artrosica precoce. Dall’altro lato si instaurano nel bambino dei meccanismi di compenso e adattamento che possono rendere la lesione di Monteggia inveterata pressoché asintomatica o pauci-sintomatica. Ne deriva che è spesso difficile proporre trattamenti chirurgici complessi, non privi di complicazioni, e dal risultato incerto, con il solo intento di prevenire peggioramenti clinici progressivi. Alcuni autori sostengono che in tali casi è opportuno soprassedere a trattamenti correttivi, valutando la possibile capitellectomia, a maturità scheletrica raggiunta, solo nei casi severamente sintomatici [5, 14, 32]. Il problema è stabilire quando proporre un trattamento chirurgico correttivo, essendo il risultato condizionato dall’età del paziente, dal tempo intercorso dal trauma e dall’instaurarsi di deformità articolari [14, 33, 34] e, inoltre, quale tipo di trattamento proporre. Sono stati proposti riduzione a cielo aperto del capitello radiale, riparazioni [35] o ricostruzioni [12] del legamento anulare, più o meno associate a osteotomie dell’ulna, del radio o di entrambe [36–40], mediante l’uso di placche ed eventuali innesti contrapposti o attraverso correzione progressiva mediante fissazione esterna [28, 41, 42]. Tutte queste tecniche si sono dimostrate apparentemente efficaci nel ripristinare i rapporti articolari e migliorare i sintomi e l’arco di movimento, sebbene la maggior parte delle casistiche descritte in letteratura siano composte da meno di 10 casi con follow-up medio in genere inferiore ai 5 anni. nella nostra esperienza, attualmente trattiamo per lo più casi sintomatici (dolore, limitazione articolare) utilizzando in genere la tecnica della distrazione progressiva con fissatore esterno, limitando la riduzione a cielo aperto e riparazione o ricostruzione del legamento anulare solo ai casi di mancato raggiungimento della riduzione a cielo chiuso. In conclusione, la lesione di Monteggia in età pediatrica rappresenta tuttora uno scenario complesso. L’elevata possibilità di mancare il corretto inquadramento diagnostico iniziale rende tali lesioni insidiose con potenziale ritardo nel trattamento, ricorso obbligato alla chirurgia e alto rischio di complicazioni e sequele invalidanti. In presenza di una frattura o anche di una semplice infrazione dell’ulna prossimale in un bambino, l’ortopedico di pronto soccorso deve sempre porsi il sospetto di lesione di Monteggia, valutare attentamente i rapporti articolari del gomito e, qualora necessario, eseguire radiografie oblique o risonanza magnetica per confermare o escludere la diagnosi.
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Conflitto di interesse
Gli autori Giovanni Gallone, Giovanni Trisolino, Giovanni Luigi Di Gennaro, Diego Antonioli e Stefano Stilli dichiarano di non avere alcun conflitto di interesse.
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Tutte le procedure descritte nello studio e che hanno coinvolto esseri umani sono state attuate in conformità alle norme etiche stabilite dalla dichiarazione di Helsinki del 1975 e successive modifiche. Il consenso informato è stato ottenuto da tutti i pazienti inclusi nello studio.
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Gallone, G., Trisolino, G., Di Gennaro, G.L. et al. Classificazione, inquadramento diagnostico e trattamento della lesione di Monteggia in età pediatrica. LO SCALPELLO 32, 262–270 (2018). https://doi.org/10.1007/s11639-018-00294-9
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