Estratto
Milano. Un cielo basso, grigio, sporco, in cui l’inquinamento non solo era visibile, ma quasi palpabile; un rumore insopportabile, che mi procurava continuamente il mal di testa; un traffico caotico in cui era difficile muoversi; una fretta incomprensibile della gente, che non si fermava mai a guardarti; una mancanza di tempo interiore che non ti permette di scandire e di dare un senso all’esistenza; l’assenza di un gesto gratuito quale fermarsi un attimo a capire. In questo vuoto assordante, in questa folle corsa verso il nulla, la pesantezza dell’esistenza mi sembrava insopportabile. La stanchezza, il logorio, la solitudine sembrava penetrassero ovunque, nei volti e nelle ossa della gente. Agli angoli delle strade percepivi il degrado: la sporcizia, con ogni sorta di rifiuto gettato a terra, le scritte senza senso su ogni palazzo e monumento, gli emarginati invisibili alla moltitudine, i volti dei drogati in preda al disfacimento, le bande di spacciatori, che agivano ovunque indisturbate. Il quadro, che a me pareva così fosco, non veniva però percepito come tale. Anzi, nella comunicazione che si faceva sulla città, ne veniva esaltata la modernità e l’efficienza e si evidenziavano le occasioni irripetibili, che venivano offerte a chiunque osasse e avesse coraggio.
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(2008). Un vuoto assordante. In: Il cancro e la ricerca del senso perduto. I blu. Springer, Milano. https://doi.org/10.1007/978-88-470-1074-1_5
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